INTRODUZIONE

FILLOSSERA E VITICOLTURA EUROPEA

La fillossera è un insetto di origine nordamericana appartenente alla famiglia dei Phylloxeridae: nello specifico si tratta di un piccolo afide fitofago associato alle specie del genere Vitis.

La fillossera attacca letalmente sia l’apparato fogliare che quello radicale della vite: nel primo caso depone le uova all’interno di galle nodose che rendono meno efficiente la fotosintesi clorofilliana, nel secondo caso favorisce la crescita di escrescenze irregolari nelle radici chiamati tubercoli radicali.
La fillossera è un insetto complesso, altamente efficiente, e di fatto presenta un comportamento differente a seconda della tipologia di vite: nelle viti americane attacca principalmente l’apparato aereo, contrariamente alle viti europee di cui lentamente distrugge l’apparato radicale, portando la pianta a morte per soffocamento.

Come tutti gli afidi, durante la sua vita, la fillossera svolge un ciclo di trasformazione attraversando diversi stadi evolutivi. A seconda dello stadio di crescita, le aree di attacco sulla vite appaiono ben diversificate. Nel caso della Vitis Vinifera il ciclo di vita della fillossera risulta incompleto, facendo in modo che l’attacco rimanga circoscritto alla sola zona radicale, con una gravità di infestazione e dannosità che dipende anche dalla tipologia di vitigno.

L’INTRODUZIONE IN EUROPA DELLA FILLOSSERA

La storia della viticoltura europea in generale e, in Italia, in particolare è giunta, nella seconda metà dell’800 ad un evento catastrofico. Tale evento segnò uno spartiacque temporale sul modo che abbiamo noi oggi di percepire e vivere la viticoltura e l’enologia moderna: la fillossera distrusse una parte consistente dei vigneti europei, con conseguente perdita di buona parte della biodiversità viticola e la distruzione di interi areali produttivi.
L’introduzione in Europa della fillossera non è del tutto chiara ed è tematica molto dibattuta in letteratura. Si presume che il suo arrivo sia avvenuto in origine attraverso scambi di specie vegetali esotiche utilizzate per arricchire le collezioni floristiche degli Orti Botanici europei, tra le quali anche la vite americana.

Sicuramente anche in questo caso il contesto antropico e sociologico ha giocato un ruolo da protagonista: mentre in passato le rotte che collegavano l’America e l’Europa avevano tempi di percorrenza di diversi mesi, con l’introduzione di navi a vapore e migliorie tecnologiche le tempistiche si ridussero fino ad arrivare a circa una settimana sul finire del XIX secolo. Si sostiene quindi che la fillossera sia sempre stata “a bordo” di queste imbarcazioni, ma con le lunghe percorrenze non riusciva a sopravvivere e pertanto non arrivava a destinazione, mentre con la velocizzazione degli spostamenti grazie alla sostituzione delle navi a vela con i vaporetti, riusciva a sopravvivere e quindi a diffondersi capillarmente in Europa e in Italia.

LA FILLOSSERA: L’IMPATTO SULL’ETNA

Tali fatti innescarono la prima, e imponente, ristrutturazione del vigneto europeo. Nei luoghi di origine, l’afide svolge il suo ciclo vitale in stretto rapporto con le specie americane. La coevoluzione fillossera-vite americana, sviluppatasi nell’arco dei tempi, ha determinato l’insorgere di rapporti di equilibrio trofici di resistenza. Tali rapporti, seppur la vite europea sia simile alla vite americana, risultano parziali ed incompleti, e portano a morte la pianta.
In Italia la fillossera è documentata a partire dalla seconda metà dell’800 nel nord Italia, da lì avanzando indistintamente per tutto lo stivale arrivando anche a devastare il sud Italia. In Sicilia, interessando in maniera uguale, sia la parte occidentale dell’isola che quella orientale.

In quel periodo le problematiche legate alla presenza distruttiva della fillossera erano sostanzialmente irrisolte e nessuna soluzione al problema era ancora stata trovata. 

La Sicilia, nonostante tutto, non si fece trovare impreparata, poiché vennero istituite dei comitati capillari in tutto il territorio per analizzare il fenomeno e, ove possibile, cercare di contrastare il suo sviluppo. Ciò ci da una cronistoria molto precisa sull’andamento e le tempistiche dell’infestazione.
L’Etna fu pian piano colonizzato dalla fillossera e portò devastazione e riduzione delle aree coltivate in tutto l’areale del vulcano con conseguenze che segnarono per un secolo intero l’andamento di questa viticoltura pedemontana avente radici millenarie.

LA SCOPERTA
E LA VALORIZZAZIONE DEL VIGNETO

Firriato è stato uno dei primi grandi brand della Sicilia vitivinicola a confrontarsi con la viticoltura di alta montagna, arrivando sull’Etna all‘inizio degli anni ’90. La prima produzione di Etna Rosso DOC infatti risale al 1994, data che segna ufficialmente il percorso di valorizzazione ed esplorazione del terroir etneo.

Il viaggio di Firriato lungo il versante Nord della Montagna prosegue negli anni successivi fino a un vero e proprio momento di svolta, quando l’azienda acquisisce alcune particelle di vigneti ubicati in contrada Verzella, a un’altimetria base di circa 650 metri s.l.m. Questa contrada, già guardando la mappa geologica dell’Etna, appare immediatamente come una intersezione di ere diverse del vulcano che garantiscono delle condizioni pedologiche molto particolari. In questo contesto, lungo il profilo della sciara, è stato identificato un vigneto particolare caratterizzato da piante che si distinguono dalle viti classiche per forma, dimensione e per la formazione del tronco, spesso evoluto in cerchi concentrici, spire e branche contorte, proprio di viti antiche ultracentenarie.

Inoltre scolmando la terra intorno all’apparato radicale del gruppo di piante che ci sembravano più antiche abbiamo avuto una sorpresa incredibile: l’assenza del punto di innesto, proprio della viticolture a piede franco; viti europee dalle radici all’apparato fogliare. Abbiamo immediatamente intuito il valore assoluto di questo vigneto ed abbiamo iniziato ad applicare il metodo che utilizziamo nella nostra filosofia produttiva, ovvero l’approccio scientifico, l’ipotesi e la validazione dei dati utilizzando analisi effettuate da istituti di ricerca.

APPROCCIO SCIENTIFICO

La convinzione generale era chiara, ovvero quella di essere di fronte a un vigneto a piede franco con un’età media “importante”, messo a dimora prima dell’arrivo della fillossera sul vulcano e sopravvissuto alla devastazione dell’infestazione, e, soprattutto investigare la sicura presenza di piante che, per caratteri ampelografici, sembrano differire dai vitigni ad oggi conosciuti.

Il passo è stato quello, di concerto con le istituzioni competenti, di sottoporre il vigneto ad un’analisi dendrologica ed ampelografica con il fine di avere la certezza scientifica di quanto ritrovato all’interno del vigneto pre-fillossera.

LA DATAZIONE

La Vitis Vinifera, tecnicamente, non è un albero, ma una liana decidua, quindi non è detto che ci sia una proporzionalità diretta tra la dimensione del tronco e l’età, nondimeno, l’accrescimento del tronco, nella vite, è diretta conseguenza di tante variabili, tipica del singolo vitigno fino alle tecniche di potatura passando per il luogo dove viene coltivata. Inoltre la parte midollare del legno di questa pianta tende a cariare nel tempo, quindi l’associazione “dimensione del tronco <–> età della pianta” è tutt’altro che scontata in questo contesto. Data la complessità di valutazione dell’età di un vigneto, fatta eccezione per la mera analisi documentale e catastale, Firriato ha deciso di verificare la possibilità di effettuare una datazione del vigneto che adotti un metodo scientifico, per verificare ed attestare  quello che da una prima analisi sembrava evidente: un vigneto sopravvissuto alla fillossera, messo a dimora prima dell’arrivo dell’infestazione sul vulcano e maggiormente costituito da piante a piede franco. Per affrontare questa complessa tematica abbiamo posto in essere, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell’Università di Palermo, un’analisi dendrocronologica del legno delle viti prese in un campione statistico riportato alla popolazione del vigneto.

ATTESTAZIONE PRE FILLOSSERA

Attraverso un’accurata analisi dendrocronologica di campioni e carote di legno è stato possibile effettuare la datazione di un campione considerevole di queste piante, fissando l’età media con rigore scientifico e attestandone un’età attualizzata di oltre 150 anni.
Partendo dalla letteratura di settore, che ci informa che la fillossera infestò il versante nord del vulcano leggermente più tardi, a partire dagli ultimi anni dell’800, appare chiaro il vigneto di cui le piante oggetto dell’analisi fanno parte, è stato messo a dimora prima dell’arrivo della fillossera ed è sopravvissuto alla terribile infestazione, attestando, di conseguenza, che il vigneto sia superstite di una viticoltura centenaria, antecedente all’avvento dell’innesto su piede americano.

Questi risultati hanno avuto per Firriato il gusto di un sogno realizzato: per un’azienda che ha sempre avuto l’obiettivo di esaltare le unicità, di esplorare il continente vitivinicolo Sicilia e di valorizzare i vitigni autoctoni, essere custodi di un vigneto pre-fillossera significa essere responsabili di un patrimonio unico al mondo.

IL VIGNETO SOPRAVVISSUTO - L’eccezionalità territoriale

COME HA FATTO QUESTO VIGNETO A SOPRAVVIVERE?

Questi risultati non hanno fatto altro che aumentare il nostro interesse nei confronti di questi vigneto, ponendoci nuove domande ed ampliando le direttrici di ricerca ad esso connesse.

La domanda successiva che ci siamo posti, essendo l’Etna sia storicamente che attualmente infestato dalla fillossera, è stata la seguente: come abbiano fatto queste viti a sopravvivere e a giungere fino a noi.
Presso la tenuta di Cavanera Etnea, in alcune particelle, i suoli vulcanici dove crescono i vigneti, appartengono a processi pedogenetici antichissimi facenti riferimento “ere” precedenti del vulcano stesso così come noi lo conosciamo.
Questi processi pedogenetici, erosivi, antropici e geologici che sottostanno a questa particolare zona dell’areale etneo, hanno favorito la polverizzazione del suolo trasformandolo in un suolo con alto tenore di sabbia. La granulosità molto fine che ne deriva ne caratterizza il comportamento pedologico coerente con la sua natura, unità all’acidità del suolo stesso.

Com’è noto, questa particolare condizione non favorisce l’adattamento della fillossera all’ananociclo radicicolo, quello in cui attacca l’apparato radicale e, di conseguenza, protegge la vite dall’attacco radicale.

In modo complementare, le condizioni mesoclimatiche e le variabili altimetriche e di temperatura, che sull’Etna si diversificano da subzona a subzona, incidono sulla presenza della fillossera sul territorio etneo.

La propagazione dell’afide, infatti, è favorita da condizioni ambientali specifiche: ad esempio, temperature superiori ai 10° C ne favoriscono lo sviluppo con un optimum a 25° C, al di sotto di questa soglia, di fatto, la diffusione dell’insetto è inibita e, pertanto, climi freddi uccidono questo insetto e ne limitano le capacità distruttive.
L’ipotesi più accreditata, ad oggi in fase di validazione scientifica, è quindi che la fillossera esista in codeste zone, tuttavia nelle particelle dove insiste questo vigneto, le condizioni predoclimatiche ne inibiscano gli attacchi agli apparati radicali o, in alternativa, li rendano talmente lenti che la vite stessa riesca a rigenerare gli apparati radicali e quindi a sopravvivere nel tempo.
Prova ne è l’assenza di punture radicali o di galle negli apparati fogliari di porta innesti di vite americana presenti nei vigneti appena limitrofi.

IL VIGNETO SOPRAVVISSUTO

Il contesto antropico e sociologico

Esiste anche un’altra motivazione relativa all’esistenza di questo vigneto che, sebbene meno importante di quella fitoiatrica è comunque di interesse per carpire l’importanza di questo vigneto: l’intervento antropico che spiegherebbe le modalità in cui il vigneto pre-fillossera sia sopravvissuto alla fillossera.
Per approfondire il concetto occorre contestualizzare la componente antropica e sociologica del periodo: stiamo parlando di anni in cui la domanda di vino dell’Etna è in costante calo e, soprattutto, migrazione dalla Sicilia è fortissima, con una percentuale consistente di popolazione che ha scelto di spostarsi verso gli Stati Uniti, il Sud America e altre destinazioni come il nord Italia e l’Europa Occidentale.
Anche i contadini non costituiscono un’eccezione: sono gli anni in cui l’urbanizzazione è molto forte e in tanti preferiscono cercare fortuna nelle città, abbandonando di fatto l’agricoltura e la viticoltura di massa.

Quest’ultimo aspetto è decisivo perché l’abitudine generalizzata, in Sicilia, era ed è quella di estirpare i vigneti e ristrutturarli con cicli venti/trentennali al fine di garantire la costanza produttiva e la sostenibilità economica della viticoltura.
Con il cambio di paradigma in corso ed il graduale abbandono della vendita delle uve e la domanda di vino in calo, dovuta anche all’invalidazione degli accordi commerciali con la Francia a fine ‘800, i contadini rimasti continuarono con la loro peculiare produzione “famigliare” sia di uve che di vino, svincolata quindi da logiche di estirpazione e rinnovo, ma in continuità con le logiche di rimpiazzo delle piante.
Con il trascorrere del tempo quindi, grazie all’inconsapevole azione dell’uomo, le nostre piante di Cavanera Etnea sono diventate centenarie arrivando fino a noi, portandosi addosso un pezzo importante di storia della viticoltura mondiale.
Tutti questi aspetti hanno contribuito a ridurre la pressione antropica sul vigneto, passando da interventi intensivi ad estensivi e di mantenimento.

un patrimonio di biodiversità inestimabile.

TUTELA DEL VIGNETO

La scoperta dei genotipi sconosciuti

Una volta attestata l’età media delle piante ed avendo la certezza di essere di fronte ad una viticoltura centenaria, abbiamo deciso di intraprendere un ulteriore filone di analisi, ovvero quello della ricostruzione del genoma delle piante più antiche, con due obiettivi principali: il primo quello di capire se il DNA del vitigno etneo più famoso, ovvero il Nerello Mascalese, potesse rappresentare un clone differente rispetto a quelli noti con delle variazioni di genoma.

Il secondo è di capire se alcune delle piante, risultate per forma, tralci, grappolo, acini e foglie diverse da quanto già noto e quindi di interesse, rappresentino o meno delle varietà diverse da quelle conosciute.
Conducendo, in più anni, analisi meticolose, è stato possibile effettuare un confronto tra il DNA di questi esemplari ultracentenari e quello del “moderno” Nerello Mascalese presente attualmente sull’Etna. Tali analisi hanno permesso di scoprire profili genetici che attualmente non hanno riscontro nelle banche dati nazionali e internazionali, nella popolazione di piante presenti nella parcella pre-fillossera.
Dati i risultati di assoluto interesse scientifico, l’attività di ricerca è attualmente ancora in corso per continuare la preservazione della biodiversità vitivinicola e la valorizzazione del patrimonio ampelografico presente nel vigneto.

Gli ibridi produttori diretti

Sono stati inoltre identificati alcuni esemplari di ibridi produttori diretti. Tali piante hanno avuto anch’esse origine come risposta alla distruzione dei vigneti operata dalla fillossera. L’innesto su piede di vite “americana” non fu, dunque, la prima e sola soluzione proposta dai ricercatori come soluzione alla fillossera. L’ibridazione tra specie resistenti e specie produttive fu una di queste, ovvero l’ottenimento di una pianta che avesse le qualità produttive europee, ma con la resistenza alla fillossera. Questa soluzione fu abbandonata poiché l’innesto fu ritenuto molto più semplice ed efficace sul medio termine in quanto l’ibridazione avrebbe avuto ancora tantissimi anni avanti di ricerca per l’ottenimento di uva di qualità. In questa particella è ancora possibile trovare alcune di queste piante, non destinate alla vinificazione, ma che vengono ancora allevate per pura preservazione del patrimonio storico, antropologico, culturale e biologico.

IL CAMPO SPERIMENTALE E LA SALVAGUARDIA DELLE VARIETA RELIQUIA

Con il fine di approfondire lo studio delle varietà reliquia dai genomi sconosciuti identificati nel vigneto pre-filossera, Firriato ha recentemente riservato una piccola parcella all’avvio di un campo sperimentale, dove risultano messe a dimora circa un centinaio di individui che comprendono i genotipi sconosciuti oggetto di ricerca e altre piante di carattere ampelografico interessante e di notevole valore storico e scientifico.
L’obiettivo di questa attività è quello di addivenire ad un numero di piante minimo tale da poter garantire un campione di studio adeguato ed iniziare le attività di valorizzazione tramite le micro-vinificazioni, approfondire gli studi sulle caratteristiche sanitarie e di adattabilità delle piante proseguendo così nello straordinario viaggio di Firriato alla ricerca della tutela delle unicità.

LA GARANZIA DELLA CONTINUITA’ DEL VIGNETO PREFILLOSSERA

A tutela della preservazione di questo storico tesoro della botanica etnea, Firriato ha intrapreso da tempo un altro ambizioso progetto: preservare il germoplasma, il DNA delle piante prefillosseriche, e, soprattutto il singolo “individuo vite” al fine di garantire la continuità genetica del vigneto. Il processo di sviluppo dei nuovi esemplari a piede franco avviene mediante propaggine in vaso. In questo modo, dalle viti più antiche, si generano nuove piante, che portano con loro il patrimonio genetico, antropologico e storico di questo vigneto. Una volta sviluppate, queste piante a piede franco vengono destinate al rimpiazzo delle eventuali fallanze a garanzia che questo patrimonio storico e vitivinicolo non rischi di estinguersi.